“L’ozio creativo”: la soluzione di Domenico De Masi che conferma l’importanza del tempo libero

di Stefano Pezzola

E’ uno dei sogni più ricorrenti nell’immaginario collettivo, quello di avere più tempo libero, ma poi, quando lo si ha, si finisce automaticamente per colpevolizzarsi di non essere abbastanza produttivi.

Lo conferma uno studio pubblicato sul “Journal of Personality and Social Psychology”, guidato dalla dottoressa Marissa Sharif (docente di marketing alla Wharton School della University of Pennsylvania), secondo il quale le persone provano una crescente sensazione di benessere se trascorrono fino a 2 ore di tempo libero. Questa sensazione, tuttavia, non va migliorando nelle ore successive, per poi diminuire drasticamente e sentirsi di malumore dopo 5 ore di inattività. Secondo la Sharif, pertanto, questo succederebbe perché “subentra un senso di improduttività, di mancanza di scopo che peggiora l’umore”.

Ma cosa giace, in realtà, alla base di tale meccanismo?
Domenico De Masi, sociologo e professore di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, spiega che “il fatto è che viviamo in una società dove ci insegnano a essere solo produttivi e che non abbiamo un’educazione al tempo libero”. Ogni nostra giornata è costantemente scandita dal giudizio altrui, un giudizio che pesa tantissimo senza spiegarci nemmeno il perché. Spesso finiamo per accettarlo come se fosse una parte effettivamente indispensabile nella nostra vita, per cui tendiamo ad uniformare comportamenti, gusti e interessi sperando che vengano ritenuti corretti e che siano passabili socialmente solo perché adottati da più persone.

Negli ultimi decenni, purtroppo, l’essere umano si è dovuto adattare a ritmi sempre più pressanti dettati da una società intrisa di stereotipi e aspettative. La voglia di emergere in una società sempre più competitiva, da una parte, e il bisogno di accumulare denaro in un’economia in recessione, dall’altra, hanno reso i lavoratori sempre più “work addicted”.

La conseguenza?
Il tempo libero viene vissuto in maniera schematica e organizzata, cercando di incastrare tutto ciò che di bello può accadere fuori dall’orario lavorativo. L’uomo, però, ha bisogno di libertà e creatività, anche se non può godere di nessuna delle due se lavora troppe ore al giorno. Il tempo libero, infatti, consente di godere delle cose inaspettate della vita, ma soprattutto consente di assaporare l’impagabile bellezza del “vuoto”, come trascorrere un’ora sul letto davanti al pc a guardare il proprio film preferito.

Grazie al vuoto, inoltre, la leggerezza del nostro spirito viene a galla e così si ha modo di ritrovare quella connessione al nostro vero io. Torniamo, cioè, in uno spazio che non è influenzato da nessun dovere esterno o pressione, ma in cui ci siamo solo noi con i nostri desideri più futili: in altre parole, torniamo a essere noi stessi, senza contare che un maggior appagamento nella propria vita privata va di pari passo con una eguale maggiore produttività sul lavoro.

Perfino la storia contribuisce ad avvalorare questa tesi. La prima concezione di tempo libero venne elaborata dagli antichi Greci i quali, con la parola σχολή (scholḗ), indicavano quel tempo speso per le attività disinteressate, come la lettura e lo studio, ritenute tali in quanto non avevano altro fine all’infuori dell’arricchimento culturale e della conoscenza teoretica, cioè senza interessi pratici. L’otium, quindi, era una sorta di dimensione sacra, quel tempo necessario per la cura della parte più nobile della nostra anima, aspetto che ad oggi, invece, tendiamo molto spesso a trascurare perché risucchiati dal vortice della società, ignari del fatto che il lavoro e il denaro non contano più se tolgono la possibilità di avere una vita.

La soluzione per invertire questa tendenza?
Il Professor De Masi dichiara: “Prendere atto della conquistata longevità, del fatto che il lavoro non è tutto, che il progresso tecnologico ci fornisce infinite protesi con cui arricchire il nostro corpo di sensazioni e funzioni. Imparare ad arricchire le nostre ore mischiando il lavoro con lo studio e con il gioco in quel mix sublime che io chiamo ‘ozio creativo’”.

La ciclicità della storia.